Un itinerario di due-tre giorni attraverso le praterie dell’altopiano di Campo Imperatore
Fabio Barboni ha percorso con degli amici uno spettacolare itinerario di 3 giorni, alternando al bikepacking del buon trekking. Sulle tracce delle praterie desolate di “Lo chiamavano Trinità” attraverso il più grande altopiano di tutti gli Appennini: la piana di Campo Imperatore.

“Poche cose hanno segnato l’infanzia dei nati tra gli anni settanta e ottanta come gli Spaghetti Western di Bud Spencer e Terence Hill. Ricordo ancora mio padre che mi convinse a mangiare i fagioli dicendomi: “vedi li mangia anche Bud Spencer!”, mentre in tv scorrevano le immagini della mitica scena dei fagioli nel canyon.
Tuttavia, anche se molti sanno a memoria le battute del film, pochi sanno che quelle scene non furono mai girate nei territori del selvaggio West ma in uno dei territori paesaggisticamente più spettacolari del centro Italia: l’altopiano di Campo Imperatore, noto come il piccolo Tibet, nel cuore del parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, in Abruzzo.
L’Abruzzo appunto, una terra che per i suoi paesaggi incontaminati e per i caratteristici borghi medioevali da sempre ha attirato a se le macchine da presa rimanendo fotografata nell’immaginario collettivo. Questa è stata la nostra meta per un lungo Week End “into the wild”.
Il tour di tre giorni, con salite impegnative ma comunque sempre pedalabili su sentieri e mulattiere, ci ha permesso di visitare i luoghi più iconografici di questo territorio. Con un itinerario abbastanza duttile, abbiamo ammirato panorami mozzafiato e location famose dove furono girati molti film di successo (es. “La strada“ di Federico Fellini,“Ladyhawke” la favola nera interpretata dalla bellissima Michelle Pfeiffer e girata nella suggestiva Rocca di Calascio, The American, Così è la vita, Trinità ecc.). Il tutto in sella alle nostre bici, alternando qua e la un pò di trekking.
Va detto che, nonostante i panorami mozzafiato di assoluto pregio, in questo territorio il turismo di massa ha attecchito in maniera poco rilevante rispetto ad altre aree del paese. Proprio per questo l’esperienza in bikepacking in queste aree è di primo livello: se si ha l’accortezza di stare distanti dalla strada potrete anche non vedere anima viva per ore e ore anche percorrendo i tratti di asfalto (eccezion fatta per la domenica, incontrerete giusto qualche auto e qualche camperista).
Numerosissimi invece sono i motociclisti, che per una decina di km possono provare l’ebrezza di percorrere una strada che ricorda molto le Highways americane. I bikers sono soliti radunarsi come una tribù al ristoro “il Mucciante”, che è lì al centro dell’altipiano come uno di quei Saloon del Midwest entrati ormai nell’immaginario collettivo della cultura pop dell’ultima frontiera americana: file di moto parcheggiate fuori lo steccato che riflettono i raggi del sole dalle loro sinuose cromature, frotte di biker con gilet di pelle e barbe incolte appoggiati sui banchi di legno a gustarsi la loro birra ghiacciata, bracieri accesi dall’alba a notte fonda che inondano l’aria del profumo degli arrosticini e di carni grigliate.

GIORNO 1
Il nostro giro parte tardi (troppo tardi), sotto il sole di una tarda mattinata di luglio, dalla piccola frazione di Camarda (poco dopo l’uscita dell’autostrada che da Teramo conduce a Roma uscita Assergi). Da lì saliamo sotto il sole cocente per la lunga salita che conduce al piccolo borgo di Filetto, è necessaria già una nuova scorta di acqua per prendere il sentiero che conduce sulla via Piana.
Lasciato Filetto, la Via piana già ci conduce in uno scenario western, potrebbe essere una di quelle valli viste e riviste nei film, da un momento all’altro vi aspettereste di vedere spuntare da lontano un uomo a cavallo con cinturone e cappello a falda larga che procede con una carovana di pionieri che percorrono la via dell’Ovest in cerca di fortuna.
Percorrere la Via Piana richiederebbe circa due ore e mezzo, e nonostante non sia la prima volta ne impieghiamo tre: è impossibile non rischiare di riempire la SD card o la memoria del cellulare di fotografie. Il primo paese che incontriamo lungo il percorso è Santo Stefano di Sessanio, un gioiello nel cuore del parco nazionale del Gran Sasso. Ci arriviamo facendo una piacevole discesa e una strada in falso piano che arriva sino alla base del paese costeggiando un piccolo laghetto.
Questo paese è un antico feudo costruito interamente in pietra calcarea bianca, fa parte dei borghi più belli d’Italia e purtroppo porta ancora i segni evidenti del terremoto del 2009 aggravato dai recenti eventi sismici del 2016. Il centro storico era dominato dalla grande torre cilindrica medicea che spicca tra le caratteristiche abitazioni, oggi crollata ma in fase di ricostruzione. La sua ottima posizione, che lo vede collocato sulla cima di una collina, offre dei panorami unici e suggestivi, passando dalle vette del Sirente e della Majella fino all’enorme distesa dell’altipiano di Campo Imperatore. Il borgo è stato interamente ristrutturato realizzando un connubio perfetto tra la sua originaria struttura e l’innovazione.
Lasciato il piccolo borgo di Santo Stefano, nel giro di una mezz’ora di pedalata in uno dei tratti più impegnativi, siamo a Rocca Calascio, set del famoso film Ladyhawke nonché del Nome della Rosa. Il castello è considerato uno dei più belli del mondo, domina la valle del Tirino e l’altopiano di Navelli, non lontano dalla vallata di Campo Imperatore. In origine era punto di d’osservazione militare. L’edifico si compone di quattro torri circolari, una cinta muraria e un maschio centrale, tutto realizzato in pietra bianca. Inutile dire che la sua posizione regala a chi lo raggiunge panorami straordinari, che riportano indietro nel tempo, e regalano allo sguardo di chi li ammira i colori nitidi e intensi della natura incontaminata.
Fatte le foto di rito ripartiamo verso Castel dal Monte, ci aspetta una lunga ma mai impegnativa salita su asfalto. Le nostre bici con ruote grasse ci costringono ad un ritmo lento che ci permette di contemplare meglio il borgo arroccato alle pendici di Campo Imperatore.
Anche questo borgo è riconosciuto come uno dei Borghi più Belli d’Italia, offre uno splendido scenario architettonico e paesaggistico. Guardandolo da lontano appare quasi come fosse un dipinto, dai contorni nitidi, ben delineati dal susseguirsi di tetti in sequenza ravvicinata che seguono in modo quasi naturale la curva della montagna su cui è arroccato.Il paese non è dotato di una vera e propria cinta muraria ma la disposizione compatta degli edifici perimetrali, insieme ai quattro torrioni posti lungo il perimetro, rendevano il borgo una piccola fortezza. All’interno, strette vie, chiese e piccole piazzette si alternano a monumentali edifici.
A Castel dal Monte, facciamo rifornimento di arrosticini, bevande e fagioli, dopotutto eravamo venuti a fare la fagiolata alla Bud Spencer, e ripartiamo ancora per un lungo tratto di salita verso Campo Imperatore. Arriviamo in quota quando il sole sta tramontando, decidiamo di fare una deviazione per cercare un luogo isolato dove accamparci trovare magari acqua e legna per l’accampamento. Dopo aver vagato per circa un ora e raggiunto un acquedotto dei primi novecento, decidiamo di stabilire il campo base per la notte su una collina che domina il lato sud dell’Altipiano: piazziamo le tende e trascorriamo una piacevole serata discorrendo avanti al fuoco, che prima ci cuoce la cena poi ci riscalda piacevolmente stemperando le temperature non proprio estive della notte. L’ escursione termica è notevole.
GIORNO 2
Il secondo giorno comincia molto presto per me, mi alzo alle 5.30 per gustarmi l’alba mattutina e farmi un giro esplorativo a piedi del pendio in cerca di un fontanile, ma non ve ne è traccia; in compenso incontro una lepre e due caprioli che ovviamente scappano alla mia vista non dandomi nemmeno il tempo di uno scatto. Dopo un paio d’ore rientro alla base giusto il tempo di preparare la colazione, i miei compagni si svegliano poco dopo. Con la moca che riempie l’aria della fragranza del caffé ci prepariamo una abbondante colazione a base di pane e marmellata e siamo pronti a partire.
Andremo prima verso sud per trovare un fontanile che avevo individuato sulla mappa: è isolato e vicino ad un rifugio quindi ci laviamo per quel che si può, facciamo scorta d’acqua e ci proponiamo di ritornarci in serata per piazzare l’accampamento dato che è in pianura e ci sono acqua e legna in abbondanza molto comodi.
Dal Fontanile proseguiremo verso la sorgente della fonte Vetica, il ritmo è molto lento a causa del sentiero quasi inesistente che si perde in mezzo ad una prateria. Quelli che ci sembrano poche centinaia di metri risultano poi essere chilometri. Arriviamo alle pendici della sorgente che non visitiamo dato che inizia a piovere ed è quasi ora di pranzo. Dopo un giorno a panini e una serata a base di carne e fagioli optiamo per un piatto di pasta, la mia è ai funghi ed è spaziale.
Il dopo pranzo è dedicato alla visita del famoso Canyon della Vallinara, meglio conosciuto come il canyon dello Scoppaturo, dove è stata girata la famosa scena di apertura di “continuavano a chiamarlo Trinità”; il giro nel Canyon è quanto di più congeniale alle ruote della mia Fat Bike. In un attimo ci sentiamo dentro a un film di Sergio Leone: guglie, pareti rocciose, grotte, un fondo quasi sabbioso e dei turisti che dell’alto con i loro teleobiettivi sembrano indiani pronti a caricare la nostra piccola carovana.
Il giro del Canyon viene diviso in due parti: arrivati alla morena che scende dal monte Prena, decidiamo di risalire verso la dorsale per raggiungere le rovine della Cava di Bitume costruita in epoca Fascista su progetto del Ing. Orazio Giuliani che non entrò mai in funzione e servì solo da rifugio per i Nazisti durante l’occupazione. Da li scendiamo dalla bici e ci dirigiamo per un breve trekking sino alla sommità per cercare di raggiungere una grotta naturale di cui ci aveva parlato un nostro amico incontrato ai piedi del monte.Dopo vari tentativi desistiamo e torniamo verso il Canyon percorrendo la morena, una delle discese più divertenti che abbia mai fatto. Il terreno sabbioso e ghiaioso della morena da un senso alla Fat Bike che a differenza della 29r avanza scorrevole senza affondare. Proprio li nel punto in cui il canyon e la morena si incontrano si possono ammirare le rocce della famosa fagiolata. Il canyon prosegue per un km circa nel suo tratto più stretto e profondo, fino a condurci nella parte più ampia del piano di Campo Imperatore, quella più a ridosso del massiccio del Gran Sasso.
Quando ormai è sera, all’incrocio della strada che conduce agli impianti sciistici ci fermiamo per una pausa gelato, poi ripartiamo verso Camarda percorrendo la strada asfaltata che può senza ombra di dubbio essere inserita tra una delle più belle del nostro paese. Ritornati a bassa quota facciamo rifornimento di viveri, per poi ritornare questa volta in auto alla location individuata il mattino per pernottare. Sfortunatamente anche una mandria di cavalli allevati allo stato semi brado ha avuto la stessa idea. Con una mezza luna che illumina le cime dei monti e le sagome degli equini che ci circondano l’accampamento, dopo una cena a base di fagioli e risotto ai funghi, passiamo la notte nelle nostre tende come dei mandriani del west.
GIORNO 3
Sveglia all’Alba, partenza per il trekking non proprio facile per la cima del Monte Prena: ripercorriamo la mulattiera del giorno prima e poco prima dei ruderi della cava saliamo sulla sinistra e iniziamo l’ascesa: sono circa 800 metri di dislivello positivo. Abbastanza semplici all’inizio, sino alla sella che conduce al Monte Camicia, poi via via il tutto si fa più complicato man mano che si sale in vetta con gli ultimi 100 metri di dislivello molto ripidi che richiedono un mimino di arrampicata e di esperienza, risultando abbastanza vertiginosi.
Il panorama in vetta è stupendo, a ovest la piana di Campo Imperatore, le valli della via Piana, Rocca Calascio e il Sirente, a sud la Maiella, a Nord il Corno Grande, la Laga e i Sibillini e a Est il Teramo, Pescara e la costa Adriatica. Con una breve sosta ci godiamo la colazione e riprendiamo la discesa. Tornando alla base incontriamo una decina di escursionisti che sono ancora in fase di ascesa, rientriamo alla macchina sistemiamo le bici e prima di partire ci concediamo un bis di tagliatelle al rifugio….dopotutto era ora di pranzo e vuoi mettere con la rustichella dell’Autogrill.
Testo e foto di Fabio Barboni