Una riflessione a cuore aperto sulle nostre scelte in bici
Nonostante il freddo finalmente sia arrivato, la nostra mente sta correndo già da settimane verso la pianificazione di nuovi viaggi in bici e giri per la primavera e l’estate.
Abbiamo aperto la mappa, fatto delle ricerche su posti che ci stanno stuzzicando da mesi e poi abbiamo incominciato a tracciare. Con la nostra immaginazione eravamo già sulla nostra bici bella carica su sterratoni, in mezzo a boschi e con la tazza di caffè all’alba a guardare orgogliosi la nostra tenda.
Questa galloppata romantica si è interrotta con i ricordi delle volte che abbiamo trovato lunghi sentieri che non erano pedalabili, drittoni in mezzo ai campi attraversati in ore di noia, percorsi invasi dalla vegetazione.
Alché un pensiero è sorto: ma perché devo fare tutto fuori strada?
Maledetto gravel
Questo “maledetto” gravel ci ha deviato fino a farci sentire da meno o farci valutare l’esperienza del viaggio in maniera negativa se ha anche tanto asfalto? O per meglio dire: da dove viene questa filosofia del gravel a tutti i costi?
Senza passare per la ormai domanda-meme “il gravel esiste?”, ci siamo interrogati con la mappa davanti se le ruote da 45 su una bici gravel abbiano effettivamente senso.
Da quando è partita la ghiaia mania abbiamo vissuto quasi in un dejavu: lentamente dai 35cc lievemente tasselati e i manubri presi in prestito dal mondo della strada, lo slope dei telai che si vedono in giro si è fatto sempre più pronunciato, i copertoni sono diventati sempre più larghi, i tasselli sempre più grossi. Gli eventi usano come punto di forza la quantità di sterrato – anche se a volte questo porta a creare itinerari semplicemente non pedalabili.
Ma allora, perché non usiamo una mountain bike e basta? O una bici da corsa con copertoni più larghi su altri percorsi?
Ma è la tipologia di bici che dovrebbe dettare le nostre scelte o il contrario?
Serve la bici gravel per viaggiare?
Lo scorso anno meme su meme e fiumi di parole sono stati spesi sulla vittoria di Gianni Vermeersch alle UCI Gravel World Championships su una bici da corsa e tanti si saranno grattati la testa chiedendosi se avessero fatto la scelta giusta.
Arriviamo quindi ad un’altra domanda filosofica: la bici da gravel serve?
Come in tante cose di questo mondo la soluzione sta nella risposta più semplice: non si sa.
Possiamo farci tante altre domande sull’attrezzatura, su quale materiale sia migliore per affrontare un determinato percorso ma l’unica costante in questo ragionamento è in realtà una variabile: siamo tutti e tutte diverse.
Ne abbiamo parlato recentemente con Serena Cugno riguardo alla sua Devote della Liv, che non a caso progetta telai in base alla fisionomia femminile “staccandosi” dal design maschile, e da questa conversazione e dai messaggi che ci scambiamo tra tutti noi su Instagram emerge in realtà un diverso approccio ai viaggi in bici.
Il filtro più importante, anche se banale a dirsi, è cosa ci fa sentire bene noi.
Il gravel o sterrato a tutti i costi è una trappola che ci può portare a fare l’opposto di quello che dovrebbero essere i viaggi in bici: uscire dal tran-tran quotidiano, vivere nuove esperienze e crescere come persone.
Da dove derivi questa spinta non possiamo dirlo. Dalla “moda”? Dalla difficile coesistenza di automobili e bici? Dal senso di avventura legato a stare su sterrato? Ma anche questo da dove viene? Di nuovo, chi lo sa.
Anche se non è facile con la pressione della condivisione e del confronto con gli altri continui, dovremmo forse smettere di sforzarci di far entrare i nostri viaggi e progetti in categorie definite e semplicemente puntare all’esplorazione, all’avventura e alla libertà – con i parametri che vanno bene ad ognuno e ognuna di noi.
Tu cosa ne pensi? Parliamone nei commenti qua sotto