Pietro Franzese e Emiliano Fava sono tornati dal loro viaggio coast to coast negli Stati Uniti per creare un documentario sull’inquinamento di rifiuti plastici con PlasticFree.
Ci siamo incontrati con Pietro appena tornato dal suo viaggio per farci raccontare un po’ di impressioni a caldo.
Ciao Pietro, bentornato da questa nuova impresa, partiamo dai numeri:
Ho percorso 5.800 chilometri senza l’aiuto di treni o autobus, affrontando 25.000 metri di dislivello, soprattutto nei primi 3.500 chilometri fino a Houston. Lungo il tragitto, ho attraversato otto stati: California, Arizona, New Mexico, Texas, Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida.
Il viaggio è durato 64 giorni, di cui 45 giorni trascorsi pedalando e 19 giorni di riposo. Ho dormito 9 notti in tenda, 19 notti ospite da persone e 36 notti in motel lungo la strada, tra cui uno particolarmente orribile. La mia bicicletta pesava 10,5 kg, mentre il peso complessivo con il carico arrivava a 37 kg. Ho utilizzato un cambio SRAM 40×11/44 e ho speso un totale di 2.895 dollari durante il viaggio.
Le temperature affrontate variavano dai -8°C di notte agli 0°C durante la pedalata fino a un massimo di 32°C. Ho avuto un’esperienza particolare quando un ranger mi ha fatto spostare la tenda in una notte gelida poiché non potevo piazzarla in quella zona. Inoltre, ho affrontato una tempesta di sabbia in Texas.
Durante il viaggio, meno di cinque automobili mi hanno superato senza mantenere la distanza di sicurezza. Ho pedalato lungo una bike lane ininterrotta di circa 320 chilometri in Florida. Ho visitato il Joshua Tree National Park e consumato oltre 80 banane e altrettante uova sode.
Un episodio curioso riguarda l’occasione in cui ho sparato 8 colpi di pistola nel deserto dell’Arizona con due sconosciuti incontrati la sera stessa. Ho preso un traghetto da Dauphin Island a Fort Morgan, in Alabama. La tappa più lunga del viaggio è stata di 285 chilometri e la più breve di 66 chilometri. Infine, l’altitudine massima raggiunta è stata di 1.380 metri a Sierra Blanca, in Texas, mentre l’altitudine minima è stata di -69 metri al Salton Sea, in California.
Hai già attraversato un continente, ma questo qui è veramente “grosso”. Com’è stato passare attraverso tutti questi chilometri?
Noi abbiamo fatto poco meno 6000 km, ma se tirassi una linea dritta da Los Angeles a Jacksonville, sarebbero 4000 km. Ecco, questa è la distanza tra Madrid e Mosca! Praticamente un mondo in mezzo. Quando ero a casa mi spostavo su Google Maps per vedere il percorso e zoomavo, mi spostavo e dicevo “Ah vabbè poi andiamo di qua, poi ci spostiamo di là”, solo che “qua” e “là” erano anche 500 chilometri. Nonostante questo, ora che sono tornato non sento una straordinarietà in questo viaggio – penso che sia una cosa alla portata di tutti.
A livello di paesaggio invece cosa ci puoi raccontare?
Mentre in Europa siamo abituati a blocchi di 100 chilometri o anche meno in cui il paesaggio cambia, negli Stati Uniti può essere anche di 300. E a volte sono tutti uguali, per non parlare del deserto che sono 1200 chilometri. Ma tra costa a costa siamo arrivati in mezzo a foreste enormi, 350 km nella spiaggia turchese quasi caraibica. Abbiamo sicuramente un’idea di spazi molto diversa rispetto agli americani. Per fare un’esempio: lì non si misura lo spazio in miglia ma in tempo di percorrenza in macchina. Tipo: “mio figlio sta a 2 ore da qui”, “lavoro a 1 ora da qui” etc. Questo può essere collegato al fatto che per loro tutto è molto “spalmato”: c’è la città molto grande ma poi per 70 miglia assolutamente niente e via così fino alla prossima città.
Come è stato il rapporto con le macchine nelle grandi strade americane?
Abbiamo pedalato in realtà anche su tante strade che sembrano le nostre provinciali, ma sulle interstate grandi abbiamo trovato quasi sempre cartelli dedicati alle bici per permettere il loro passaggio sulle parti laterali della strada (che comunque sono larghe 3 metri).
Il sentimento che mi ha più accompagnato però è stata l’incazzatura. Non con il traffico lì ma per il confronto con l’Italia. Gli stati uniti sono il paese dell’auto (vanno anche a ritirare i contati al drive in!), tutti girano in auto eppure è stato molto più sicuro pedalare lì. Praticamente sempre le macchine hanno tenuto la distanza di sicurezza. Hanno piste ciclabili ovunque, e a Miami abbiamo pedalato su una pista per 350 km, di fila! Anche a livello di segnaletica puoi vedere questi cartelli gialli con scritto “Share the road” ovunque, non solo in città. A parte nelle città come San Francisco non abbiamo visto tantissime persone spostarsi in bici, anche perché le distanze sono veramente ampie. Anche nelle strade di campagna, dove incontri praticamente solo i tipici truck grandi come 2 Picanto, è stata sempre rispettata la distanza di sicurezza.
Mi ha fatto veramente pensare a come siamo messi qui invece.
Sul lato tecnico invece, hai usato solo due coppie di copertoni giusto?
Sì! Su questi oltre 6000 km ho forato una volta poi, per un chiodo lungo una interstate. Ho usato dei Vittoria Terreno Dry 700×38 con gli inserti per i cerchi in carbonio. Tornando indietro forse avrei messo anche i 45. I copertoni non sono pensati espressamente per il viaggio ma si sono comportati bene e praticamente non ho avuto mai problemi da costa a costa. Anche se la maggior parte del tempo l’abbiamo passata sull’asfalto, ho scelti questi copertoni per la comodità. Avendo tanto peso sulla bici, c’era bisogno di avere pressioni medio-basse per tutte quelle ore sulla bici. Consigliati!
La tua bici invece come si è comportata?
Anche in questo viaggio ho usato la Giant Revolt Advanced in carbonio. La distribuzione del peso in questa bici è qualcosa che mi sorprende ogni volta. Nonostante il carico sulla bici e le lunghissime giornate in sella, non ho mai avuto un problema sul fisico. A proposito della sella, ho usato quella in dotazione di Giant ed è una delle più comode che abbia mai provato, pazzesco per una sella da 35€!
La geometria della Revolt si è confermata un grande vantaggio: nei drittoni o nelle salite ho potuto mantenere una posizione rilassata e al momento giusto spingerla a tutta birra.
Un’altra particolarità di questo viaggio è stato il fatto che l’hai condiviso con Emiliano Fava, che in realtà non conosci da tantissimo. Come è andata?
In genere abbiano lavorato bene, nel senso che non abbiamo mai litigato. Ci siamo separati una volta per 8 giorni perché Emiliano ha dovuto sostituire i copertoni, la cui misura (27.5) però c’è solo in Europa, quindi è stato molto lungo trovarne un paio. Forse è stato anche buono separarci per tot giorni, ma in generale avere un obiettivo comunque ha sicuramente aiutato.
Parlando dell’obiettivo, come hai trovato il problema della plastica?
Sono stato molto sorpreso da questo aspetto. Mi aspettavo americani “sporcaccioni” e strade piene di rifiuti, invece abbiamo trovato ben poco rifiuti sulla strada. Questo è anche dovuto al fatto che in America è possibile “adottare” una strada, finanziando la pulizia di uno o due miglia. Ci sono ovviamente dei rifiuti in giro, ma niente rispetto ad alcune strade che vediamo in Italia. Abbiamo trovato un mozzicone di sigaretta, se non quando siamo arrivati a Miami e anche lì ne abbiamo visti pochissimi rispetto da noi. C’è un grosso però: abbiamo visto un uso incredibile della plastica monouso. Nei supermercati, nei negozi, praticamente ovunque ci sono prodotti avvolti in plastica. E’ molto di più rispetto all’Europa: è totale. Da qualche parte poi questi rifiuti andranno, forse non avvertono il problema perché hanno spazio quasi infinito per le discariche.
Americani e pistole nel nostro immaginario vanno a braccetto, oltre a un’arroganza generalizzata. Come hai vissuto il rapporto con questi stereotipi?
Come tutti gli stereotipi, molti di questi si sono rivelati infondati.
Le persone che abbiamo incontrato nel viaggio sono state più che accoglienti e assolutamente pronte a darci una mano. Emiliano è stato accompagnato per 40 km nella direzione opposta in macchina da una signora. Siamo stati ospitati in un RV, che è praticamente una casa su ruote, da un gruppo di ragazzi che avevamo conosciuto da pochi minuti. Proprio questi ci hanno portato a sparare nel deserto alle lattine di birre, come nei film. Un’esperienza molto strana, e che non è che mi sia piaciuta granché, ma che mi ha fatto entrare in contatto con un rapporto con le armi da fuoco che in europa ci è completamente estraneo. Certo è veramente strano, e per noi italiani preoccupante, quando entri al supermercato e vedi le persone che fanno la spesa con la pistola sulla cintola.
L’unico episodio in cui ho avuto veramente paura è stata durante una notte in free camping, in cui ho sentito due persone litigare e poi dei colpi di pistola. Veramente agghiacciante. Potete ascoltare la storia direttamente da Pietro in un suo video qui NDR
Prossimo viaggio?
Vabbè dai, fatemi riposare per un po’!