Bruno Ferraro ha partecipato alla Transibérica Ultracycling Race nel 2019, è arrivato 3°, ma durante la gara è riuscito a fotografare e raccogliere le sue emozioni, oggi è qui a farci vivere la sua esperienza.
La Transibérica Ultracycling Race è una gara in cui non esiste un percorso ben preciso, ma solo dei checkpoint da rispettare, dove oltre alla preparazione fisica vengono fuori quindi le capacità di navigazione di ogni concorrente.
Per ogni tappa Bruno ha selezionato dei brani musicali, una sorta di colonna sonora che per lui descrive le sensazioni, lo stato d’animo e quello che ha vissuto in quei km solitari, vi consigliamo quindi di ascoltare i brani mentre leggete l’articolo e guardate le foto, sarà un pò come mettersi nei suoi panni!
Testo e foto di Bruno Ferraro
Di preciso non so se l’amore che provo per il ciclismo è frutto delle sensazioni provate tra i luoghi che ho percorso o se al contrario è la bicicletta a farmi apprezzare appieno i viaggi e le avventure che sempre più spesso intraprendo. Sicuramente esiste una specie di sinergia tra le due cose, condite anche con un pizzico di “legge dell’attrazione”. Sempre più spesso mi capita di desiderare un viaggio così tanto da ritrovarmi nell’immediato futuro a pedalare proprio lungo quelle strade sulle quali fantasticavo solo qualche mese prima. Immaginare una meta ben precisa di cui non conosco nulla, sentire la mancanza per non aver mai visitato una regione in particolare o semplicemente trovare ispirazione da qualche storia, immagine o film visti: sono questi gli stimoli che accendono in me la voglia di viaggiare e che mi accompagnano fino a quando sono prossimo alla partenza.
È successo così anche lo scorso settembre durante Transibérica Ultracycling Race, l’evento di bikepacking unsupported più importante tra i confini della penisola Iberica.
Nel dettaglio l’edizione 2019 di Transibérica si sviluppò in un percorso a libera scelta di circa 3500 chilometri intervallato da punti di controllo obbligatori forniti dall’organizzazione di gara. Si trattava di 8 checkpoints, sparsi su tutta la penisola, meglio identificabili come zone d’interesse storico, naturalistico o culturale. Le precise coordinate fornite a noi concorrenti designavano come punto di partenza e arrivo il Guggenheim Museum di Bilbao, nella regione dei Paesi Baschi a nord della Spagna. Una meravigliosa cornice architettonica decostruttivista fatta di titanio, cristallo e pietra in netta contrapposizione con quello che sarebbe stato il resto della corsa la quale ci avrebbe visti attraversare le zone più isolate di Pirenei francesi, Spagna e Portogallo.
Partenza e arrivo: Bilbao (provincia di Biscaglia, comunità autonoma di Paesi Baschi)
Bilbao è una città incredibile, piena d’arte e cultura, attrazioni e possibilità di svago di ogni tipo, ma comunque rimane un paese a misura d’uomo. Si sviluppa lungo il fiume Nervión il quale la taglia a metà dividendo città vecchia, ovvero la parte più residenziale e folkloristica, e città nuova, dove troviamo appunto il Guggenheim museum e le altre strutture istituzionali.
È proprio da qui che il primo settembre scorso, in una serata caratterizzata dalla tipica pioggerellina basca, il “txirimiri”, partì la seconda edizione di Transibérica Ultracycling Race. Io e una ventina di arditi partecipanti partimmo con non poco indugio a seguito dell’auto di Carlos Mazòn, direttore di gara, che ci scortò fino ai confini cittadini. La luce dei semafori si rifletteva sull’asfalto bagnato mescolandosi alle luci dei lampioni e delle auto, diradandosi man mano che si proseguiva di chilometro in chilometro verso est. Dopo quasi mezz’ora e immerso nell’oscurità della periferia basca, insieme ad Ulrich, un concorrente tedesco, mi staccai dal gruppo e diedi sfogo al desiderio di buttarmi a capofitto in questa incredibile avventura iberica.
CP1: Col de la Pierre Saint-Martin (Pirenei Atlantici, Francia; Navarra, Spagna)
Soundtrack: Bing & Ruth – Tomorrow Was the Golden Age / Lost in Kiev – Nuite Noire
Dopo un paio d’ore sui pedali finalmente la pioggia finì d’infastidirmi e diede spazio ad un vento piuttosto piacevole che aiutò l’asciugatura degli indumenti. Vedevo solo la strada e l’intermittenza della luce posteriore di qualche altro concorrente, percependo però la vicinanza al mare grazie ai profumi molto distinguibili di salsedine e pini marittimi. Ad un tratto la luna uscì da dietro le nuvole oramai diradate: la spiaggia era così vicina che riuscii a scorgere la schiuma bianca del bagnasciuga. Si trattava del lungomare che precede Saint-Jean-de-Luz, infatti ecco più avanti le luci della piccola cittadina francese che si facevano sempre più vicine. Passai oltre e pochi chilometri più avanti, infreddolito e colto da improvvisa stanchezza, entrai in un bancomat al coperto rendendomi conto di quanto funzionale fosse per riposare. Fu così che mi concessi un microsonno allo sportello della Banque Populaire di Saint-Pée-sur-Nivelle. Ero prossimo ad approcciare la zona degli alti Pirenei, quella che mi avrebbe portato al primo checkpoint, Col de la Pierre Saint-Martin.
Col de la Pierre Saint-Martin è un passo di montagna al confine tra Francia e Spagna. I suoi 1766 metri di altitudine sono scanditi da meravigliosi e altrettanto detestabili segnali informativi dove viene riportata altitudine e pendenza media percentuale del chilometro che si sta per coprire. In ogni caso un posto incantevole che ricorda molto le nostre salite prealpine sia per l’ambiente circostante che per le pendenze spesso impegnative. Mi lasciai alle spalle Arette, l’ultimo borgo dove poter fare rabbocco prima di affrontare la salita che mi accompagnò per i 25 chilometri successivi, con circa 1400 metri di guadagno altimetrico. Tra il versante francese e il versante spagnolo la differenza fu talmente netta che mi sembrò di aver viaggiato per duecento chilometri quando invece si trattava di circa una dozzina in linea d’aria. Dai verdi e boschivi tornanti arrivai quindi al classico scenario mediterraneo con rocce grigio chiaro e arbusti.
CP2: Pico de Javalambre (comarca Gúdar-Javalambre, Aragona, Spagna )
Soundtrack: Shigeto – Full Circle / Linkin Park – Hybrid Theory
Una discesa scorrevole con vento a favore mi portò fino all’imboccatura di una valle stretta e molto suggestiva che si sviluppava lungo il Río Esca e attraversando piccoli paesini raggiungeva il crocevia con una delle strade principali, quella che collega Pamplona a Huesca. Proseguii sotto il sole cocente di un pomeriggio che mi sembrò durare all’infinito, sensazione dovuta anche alla leggera pendenza che caratterizzava la strada che volgeva verso il prossimo canyon, quello scavato dal Río Gàllego. Percorsi la strada panoramica che attraversa l’area di Hoya de Huesca in Aragona, costeggiando i Mallos de Riglos, un insieme di conformazioni rocciose dalle incredibili caratteristiche geologiche. Era quasi il tramonto ma sentivo la voglia di continuare a pedalare, godendomi uno di quei momenti di viaggio che rimasero indelebili nei miei ricordi.
Cominciò a sfiorarmi l’idea di arrivare a Zaragoza entro la mattina successiva. Il vento, a tratti favorevole e a tratti laterale stava cominciando a infastidirmi e quindi decisi di sostare in un borgo per mangiare qualcosa e riposare. Non era sicuramente la zona corretta ma nella mia testa quel borgo era esattamente come il paesino dove fu girato il film “Volver” di Almodóvar.
Fu una notte alquanto travagliata dove cercai di dormire con il sacco a pelo ma nonostante la ricerca di luoghi riparati il forte vento la fece da padrone congelandomi ogni volta e costringendomi a ripartire dopo poco ad ogni sosta. Alla terza fermata nel giro di poche decine di chilometri optai per uno sportello bancario Ibercaja a Villanueva de Gállego. Arrivai a Zaragoza qualche minuto prima delle 6:30. Quasi d’istinto fermai la bici mentre attraversavo il Puente de Piedra che sovrasta il Río Ebro. La vista della Basílica de Nuestra Señora del Pilar, illuminata a giorno da fasci di luce giallastra, mi colpì così tanto che successivamente mi concessi qualche minuto di relax sull’immensa piazza antistante. Attraversai la città assaporando il leggero brusio di un paese che si sveglia la mattina presto di un qualsiasi giorno feriale, “immagine alquanto comune” pensai, ma sicuramente vista dalla mia prospettiva fu una fotografia molto intima di quello che trasmette un paese al sorgere del sole. Café solo, un paio di churros e qualche centinaia di altre calorie ingurgitate al volo prima di ripartire alla volta del secondo checkpoint, il Pico de Javalambre.
Di questa seconda giornata ammetto di non ricordare particolari scenari se non qualche tipico paesino e un “camino rural” (strada bianca) preso quasi per sbaglio. Sostai a Teruel, capoluogo dell’omonima provincia, facendo un piccolo rifornimento prima d’inoltrarmi nella Sierra de Javalambre. Questa catena montuosa, lunga 29 km, è parte di un’area che viene chiamata dagli abitanti locali “la Lapponia spagnola” per la ridotta densità demografica simile a quella lappone. Da Teruel, la meravigliosa salita verso il Pico situato a 2020 metri, si sviluppa da nord-ovest per circa 35 chilometri guadagnando più di 1200 metri d’altitudine. Il territorio si trasforma continuamente passando dalle zone più aride situate ai piedi della Sierra ai ruscelli del sottobosco che si trovano sopra i 1200 metri, fino ad arrivare al paesaggio lunare della Estación de Esquí di Javalambre. Al checkpoint trovai Carlos e Javi ad aspettarmi per alcune foto e la timbratura del taccuino, scambiai qualche battuta con loro godendomi il tramonto prima di proseguire verso una lunga pedalata notturna.
CP3: Cabo de Gata-Níjar (Níjar, Almería, Spagna)
Soundtrack: Wanderwelle - Lost In A Sea Of Trees / Balmohrea – All is Wild, All is Silent
Ricordo che per ore viaggiai immerso nel buio seguendo solo il fascio di luce che la mia lampada frontale emetteva, circondato probabilmente da quello che è il classico scenario di una vallata di montagna. Mi convinsi che anche quella notte sarebbe trascorsa improvvisando, in quel momento tutto quello che mi serviva era una doccia e qualche ora di riposo. Poco dopo mezzanotte e quasi per magia, scorsi tra il nulla di Graja de Campalbo, una piscina comunale con docce all’esterno. Spinto dal desiderio di sciacquare via le fatiche della giornata scavalcai la recinzione e approfittai del lusso. Una decina di chilometri dopo trovai riparo allo sportello Liberbank di Talayuelas, consolidando una strategia tanto anarchica quanto vincente.
La terza mattinata sui pedali fu caratterizzata perlopiù da strade di campagna piuttosto monotone, ricordo con simpatia una stazione di benzina che offriva una scelta più varia di DVD pornografici rispetto ai generi alimentari. Soddisfai completamente il bisogno di mangiare qualcosa di sostanzioso solo più avanti, al Horno tradicional della signora Carmen di Los Pedrones. Ricordo la strada di montagna prima della discesa che porta alla Centrale nucleare di Cofrentes e la scorpacciata di cibo acquistato al minimarket di Ayora.
In direzione Murcia e col sole a picco continuai a pedalare anche nel primo pomeriggio fino ad arrivare a Yecla per un paio di chicken burger acquistati presso una nota catena di fast food. Fu proprio a Yecla che, per colpa di stanchezza e distrazione, feci una spiacevole caduta che mi costò una ruota bucata e una bella escoriazione alla spalla. Un passante mentre riparavo la ruota mi chiese tutto pimpante “esta pinchado?” e io con una vena di disperazione risposi: “no, xe spacà fora tutto!”. Alla fine dopo una ventina di minuti riuscii a ripartire nonostante la spalla dolorante e il sole cocente pedalando per un altro paio d’ore prima di fare un’altra breve pausa presso il bar “el Peque” di Mahoya. Di quel bar ricordo che mi fece molto sorridere il ben distinguibile odore di chiuso misto ad alcol, sudore e carte da gioco. Ricordo anche che da lì inaugurai un’altra abitudine: acquistare un ghiacciolo alla fragola e uno a lime e mangiarli assieme per combinare i gusti!
Passare per il centro di Murcia non fu esattamente la via più breve per continuare il percorso ma pensai che dopotutto concedermi una deviazione di qualche chilometro valesse la pena sopratutto per poter assaporare per qualche minuto il clima cittadino del capoluogo. Ripartii solo dopo un paio di empanadas gustate di fronte la Catedral de Santa María, quando ormai il sole stava per scomparire all’orizzonte e le luci dei pochi lampioni della periferia murciana stavano pian piano illuminandosi. Proseguendo mi accorsi che la zona in cui mi trovavo era ben differente rispetto ai giorni precedenti, il traffico e le persone non accennavano a diminuire nonostante la tarda ora anzi, passata la mezzanotte nel centro abitato di Totana c’era più gente che negli altri paesini durante il girono. Capii che sarebbe stato meglio cercare una struttura per riposare qualche ora e la fortuna volle che trovai proprio a qualche centinaio di metri un hotel con reception h24.
Rimontai in sella qualche ora dopo diretto verso la Comunidad Autónoma de Andalucía dove mi avrebbe aspettato il terzo checkpoint sul Parque Natural del Cabo de Gata-Níjar.
Spostandomi verso ovest notai che le giornate si stavano leggermente accorciando infatti il sole sorgeva piuttosto tardi, verso le 7.30. La mattinata fu piuttosto nuvolosa e nonostante il territorio fosse molto affascinante non riuscii ad apprezzare appieno quello che l’Andalusia fin’ora mi stava offrendo. L’incontro con un vispo ciclista di mezza età mi ringalluzzì grazie alla possibilità di scambiare qualche parola e di percorrere i successivi chilometri in compagnia dal quale fui scortato con piacere fino al mozzafiato Mirador de Granatilla il quale offriva una vista spettacolare su Playa El Algarrobico. Da li scesi a Carboneras per l’ultimo vero e proprio pit-stop prima di addentrarmi nel Desierto de Tabernas dove è localizzato il parco naturale di Cabo de Gata.
Il percorso prevedeva una prima parte asfaltata che si dilungava fino alla piccola cittadina turistica di San José, da quel punto in poi ci si addentrava nella riserva naturale trovando un misto di terra rossa e ghiaia.
Non posso negare che in tutta l’area il caldo fu asfissiante, dall’altro lato però pace, silenzio e scenari mozzafiato mi fecero dimenticare la fatica. Decisi di premiare il mio successo giornaliero concedendomi un tuffo tra le cristalline acque di Playa del Corralete, calcolando poi di trovare doccia e ristoro sul lungomare che costeggia le Salinas di Cabo de Gata. Fui sorpreso e fotografato da Carlos proprio mentre pasteggiavo con empanadas de pollo e marmellata, abbinamento che poi fu copiato da tutti gli chef stellati di Spagna.
Subito dopo sostai alla più vicina stazione di benzina dove trovai Sami, un concorrente finlandese, che vedendomi esordì confessando: “ho già comprato tutti i tramezzini, non odiarmi!”. Poco male, dopo aver socializzato con Carlos e Sami feci carico di carboidrati e zuccheri, café solo e poi ripartii.
CP4: Pico Veleta (provincia di Granada, Sierra Nevada, Spagna)
Soundtrack: Russian Circles – Geneva / Gojira – The Way of All Flesh
Transitai per la periferia di Almería attraversando dei folkloristici quartieri abitati che ben presto diedero nuovamente spazio allo scenario naturale del Tabernas e della vicina Sierra Nevada.
Già dal mattino l’idea era quella di raggiungere Guadix, una città in provincia di Granada che sarebbe stata un punto strategico per proseguire al prossimo checkpoint. Costeggiai quindi la parte nord della Sierra Nevada salendo una strada a dir poco incredibile, era oramai tardo pomeriggio e i giochi di luce dorata che filtrava tra gli alberi resero l’ascesa ancora più piacevole. Arrivai in città a sera inoltrata e dopo una pizza approfittai di un hotel h24 non lontano dalla meravigliosa Catedral de la Encarnación de Guadix.
Era ancora buio quando ricominciai a pedalare, non sapevo davvero cosa aspettarmi dal prossimo checkpoint visto che si trattava di scalare una meta leggendaria: il Pico del Veleta.
Pico Veleta con i suoi 3398 metri d’altitudine è la seconda montagna più alta della Sierra Nevada. La strada che porta alla cima è però la più alta d’Europa, la sensazione è quella di pedalare in cima al mondo. L’avvicinamento di quasi 40 chilometri fu l’antipasto di un altrettanto lunga salita con un guadagno altimetrico che in totale superò i 3400 in circa 80 chilometri. È letteralmente un mostro contro il quale servono pazienza e nervi saldi. Con le borse e la stanchezza psico-fisica mi ci vollero quasi 4 ore per completare l’ascesa. Sorrisi alla vista dei cartelli altimetrici: “altitud 1750 m”…alto quanto il Monte Grappa, “altitud 2000 m”…il passo Manghen, “2500 m”…quasi Gavia!
Dopo i 2500 è difficile scherzare, oltre i 3000 comincia ad essere difficile anche respirare. Feci gli ultimi metri con la bici in spalla ovvero l’unica maniera possibile per arrivare e finalmente raggiunsi la luna, o almeno era quello che sembrava dato che il territorio circostante era formato da ghiaia grigia e nera. Scesi quasi subito godendomi ogni centimetro di quella lunghissima discesa che mi portò fino a Granada, dove mi fermai ad assaporare per qualche minuto il centro storico.
CP5: Ronda (provincia di Malaga, Andalusia, Spagna)
Soundtrack: Trentemoller – The Last Resort / Slipkont – Vol. 3
Avevo scampato il pericolo di trovare maltempo sulla Sierra Nevada, visto che le previsioni meteo non erano molto promettenti, fui però colto dal temporale mentre attraversavo le campagne che si estendono a ovest di Granada mentre mi dirigevo verso Antequera, in provincia di Malaga.
Ricordo la luce che rifletteva la pioggia sull’asfalto e la terra argillosa che spesso, dal bordo strada, colava in un rignagnolo color ocra sulla carreggiata. Fu su una curva a “esse”, tra le stradine di Villanueva de Mesía, che scivolai a terra come se stessi pedalando sul ghiaccio. Due signori di mezza età e una ragazza videro le scena e smisero subito di parlare avvicinandosi per aiutare a ricompormi. “¿Necesita una ambulancia?” chiese la ragazza preoccupata. Io negai e visto che si trattava solo di un gran scivolone ma chiesi di utilizzare il bagno per pulirmi e sciaquare la ferita sul ginocchio.
Anche se un po’ acciaccato ripartii quasi subito, spensi il cervello e visto che era quasi sera iniziai a pedalare con la convinzione di raggiungere la città di Ronda, checkpoint numero 4, entro la notte.
Ricordo solo una particolare sosta in centro a un paesino molto tipico chiamato Campillos dove mangiai qualcosa al volo presso un bar che offriva piatti tipici. La mia attenzione fu catturata da una coppia di padovani che parlavano mentre sorseggiavano un vino, seduti al tavolo affianco. Qualche battuta scherzosa sull’impresa folle su cui stavo cimentandomi e un café solo prima di ripartire.
Pedalai in piena notte con forti raffiche di vento in faccia. Una strada interrotta mi costò una leggera deviazione presso un piccolo cantiere. Non dimenticherò mai la banalissima ma tanto sofferta salita di Puerto El Saltillo, con vento laterale e frontale talmente forte da spostare la bici a destra e sinistra. Finalmente, verso le 3 di notte arrivai a Ronda dove mi aspettava una stanza prenotata presso un pittoresco hotel. Il proprietario, un uomo di poche parole, mi aspettava piuttosto spazientito.
Mi concessi qualche ora di riposo e ripartii verso le 7 di mattina per percorre uno dei tratti più belli di questa avventura iberica. Dal centro di Ronda scesi per una strada rurale a tratti pavimentata con ciottoli e a tratti sterrata, da qui si poteva ammirare il Puente Nuevo di Ronda.
Pedalai come immerso in una favola tra strade di campagna e collina che mi ricordarono molto le zone attorno Siena. Affrontai la salita verso Grazalema, “uno de los pueblos más bonitos de España” in provincia di Cadíz, posto caratterizzato dalle sue abitazioni tinte di bianco candido. Dopo una sosta in centro città e un’abbuffata di ghiaccioli e torta al cioccolato, trovai l’energia per ripartire completando la salita che porta a Puerto de Las Palomas. La discesa verso Zahara fu spettacolare, il panorama che sembrava disegnato ad acquerello manteneva come punto di fuga l’enorme macchia blu del bacino di Zahara el-Gastor dove arrivava sinuosa la strada, così perfetta che sembrava disegnata col curvilinee. Al crocevia, la direzione da seguire fu verso Siviglia.
CP6: Albufeira (distretto di Faro, Algarve, Portogallo)
Soundtrack: Converge – Jane Doe / The Strokes – Is This it
I campi e le colline, con predominanza di colore giallo, si stagliavano a perdita d’occhio.
Arrivato a Siviglia feci una sosta a Plaza de España e riposai su una panchina in maiolica blu dell’adiacente Parque de María Luisa. Era quasi il tramonto quando ricominciai a pedalare. Attraversando la periferia ricordo l’euforia di una famiglia gitana che mi fece il tifo non appena sbucai in punta ai pedali davanti casa loro. Ero relativamente vicino ai confini col Portogallo e quindi pianificai la prossima tappa a Huelva per poi prendere l’indomani il primo vaporetto che attraversa il fiume Guadiana, confine tra i due stati. Sostai ad Almonte per un caffé, un gelato e qualche parola scambiata con i ragazzi del bar di paese.
Raggiunsi Huelva verso mezzanotte sperando di trovare un po’ di pace, inaspettatamente il centro città era gremito di gente a causa di un evento e i pochi alberghi h24 erano già tutti al completo. Non mi restò che improvvisare la mia sosta notturna proseguendo verso la periferia e trovando abusivamente riparo dentro una delle casette di legno espositive del Leroy Merlin di Corrales. La mattina seguente arrivai ad Ayamonte di prima mattina, così da prendere il primo vaporetto per il Portogallo. Bastarono poche manciate di chilometri in terra portoghese per farmi capire le sostanziali differenze con la Spagna. Innanzitutto il caffè è ottimo e viene servito esattamente come in Italia, non si può dire la stessa cosa delle strade, le quali sono spesso strette e rovinate. Gli automobilisti non sono un granché e non sono per nulla abituati ad avere a che fare con i ciclisti in carreggiata. D’altro canto il territorio è incredibile e la quantità di cose tipiche che caratterizzano i paesi rendono tutto alquanto unico. Mi ritrovai quindi a macinare chilometri difficili su strade secondarie parecchio remote e spesso inasprite da ripide salitelle, dal caldo e dai quasi inesistenti punti di ristoro. Feci scorpacciata di fichi, presi in prestito da un paio d’alberi che davano sulla strada e poi mi diressi deciso verso la spiaggia di Albufeira, il sesto checkpoint della gara.
Pedalai verso ovest bypassando Faro e raggiunsi la cittadina verso le 2 del pomeriggio. Albufeira è molto turistica, e il viavai di gente era sicuramente accentuato dal fatto che quel giorno fosse domenica. È comunque quel brusio piacevole di gente rilassata che passa una giornata in clima vacanziero, questa parte del percorso fu sicuramente la meno significativa ma almeno mi diede un piccolo assaggio di “movida” prima di catapultarmi in una delle più remote zone del Portogallo: l’Alentejo.
CP7: Monte Farinha (Mondim de Basto, distretto di Vila Real, Portogallo)
Soundtrack: Dir En Grey – Uroboros / Arctic Monkeys - Whatever People Say I Am, That's What I'm Not
Pedalai fino all’imbrunire e poi ancora, cercando di superare questa sezione e arrivare entro l’una di notte all’unica struttura che trovai sul mio percorso, un resort con piscina da ben 75€ a notte. Mi concessi qualche ora di meritato riposo e ripartii solamente dopo una bella doccia e un’abbondante colazione. Cercai di portarmi avanti con la tappa giornaliera ma dopo nemmeno un paio d’ore sui pedali successe l’imprevedibile: un cane, piuttosto incazzato, uscì dalla recinzione di una casa di campagna e mi si piazzò davanti. La mia esperienza di fronte a quel tipo di situazione mi fece affrontare con troppa leggerezza l’imprevisto, fu così che il cane, probabilmente più spaventato di me, vedendomi avanzare tranquillo mi azzannò appena sotto il ginocchio. Urlai dal dolore, e il cane si staccò subito, rientrando in men che non si dica nel suo territorio. Nonostante la ferita, l’adrenalina mi permise di rimontare subito in sella e proseguire. Sempre pedalando pulii le lacerazioni con l’acqua della borraccia e iniziai a pensare a una soluzione. Ero a circa 15 chilometri da Montemor-o-Novo, la cittadina più vicina, quindi non mi rimaneva altro che pedalare, fino a quando una macchina mi si affiancò. Era un appassionato di ciclismo che ci stava seguendo dal sito web della gara, e visto che mi trovavo vicino al suo paese, mi venne incontro per fare un po’ di tifo. Mi fermai per chiedergli se al paese successivo sarei riuscito a trovare una farmacia o un ambulatorio per farmi medicare. Sebastião (che parlava solo portoghese) mi fece capire che lui era un infermiere dell’ospedale di Montemor e che mi avrebbe fatto strada fino alla struttura. Dopo avermi disinfettato con il materiale che teneva in auto nella sua cassettina mi scortò quindi fino all’ospedale. Arrivato lì mi ritrovai davanti una sola opzione: fare la profilassi antirabbica visto che non era possibile stabilire se il cane in questione fosse sano oppure no. Fui trasferito a Évora, l’ospedale principale della zona, e lì mi fecero il vaccino. Sebastião mi riportò a Montemor offrendomi un pranzo a casa sua, dove conobbi la sua famiglia prima di andare all’ospedale dove avevo precedentemente lasciato la bici e i bagagli. Dottoressa e infermiere, oramai affezionate alla mia storia mi salutarono con molto entusiasmo ridandomi un po’ della carica necessaria per proseguire.
Ripartii a pomeriggio inoltrato con vaccino e antibiotici in corpo, fu a quel punto che stanchezza ma sopratutto la mancanza di lucidità si fecero sentire in maniera prepotente. Pedalai a oltranza riuscendo a malapena a rendermi conto di quello che mi circondava. Percorsi circa 135 chilometri, arrivando ad una cittadina chiamata Tomar situata nel distretto di Santarém. Arrivai prima di mezzanotte e visto che l’hotel prenotato era in centro feci il giro largo per ammirare la piazza. Era probabilmente periodo di lauree e davanti la chiesa di San Giovanni Battista gli studenti stavano celebrando vestiti con delle tonache nere che ricordavano molto quelle massoniche di Eyes Wide Shut di Kubrick.
Il giorno successivo tentai di raggiungere Coimbra entro l’ora di pranzo. Feci una deviazione in farmacia per medicare la ferita e visto che c’ero feci un piccolo tour del centro città. Arrivai alla parte alta di Coimbra, dove si può ammirare la sede della più grande università portoghese.
Persi completamente la cognizione del tempo, infatti proseguii soltanto dopo almeno 40 minuti di “turismo”.
Un pomeriggio trascorso percorrendo l’Estrada Nacional n.º1, un tramonto tra le colline più recondite della provincia di Porto e una nottata passata lottando per raggiungere l’ostello prenotato a Mondim de Basto, paesino ai piedi del settimo checkpoint, il Monte Farinha. Mi svegliai riposato, feci rapidamente colazione e cominciai senza esitazione la scalata verso il sacro monte dove, dopo 12 chilometri e 730 metri di dislivello, avrei raggiunto il Santuário de Nossa Senhora da Graça. Quando arrivai in cima entrai nel santuario, rimanendo piacevolmente colpito dall’energia emanata da quel luogo di culto storico.
CP8: Caín de Valdeon (Picos de Europa, Provincia di León, Spagna)
Soundtrack: Children of Bodom – Hate Crew Deathroll / Mastodon - Leviathan
Scesi prendendo una strada alternativa, forse penalizzante ma con un grande impatto paesaggistico dato che attraversava piccoli borghi rurali e strade contadine. Fui rallentato da un tratto di pavimentazione simile alle nostre mulattiere dove trovai un pastore con un gregge di capre, appena fuori però ricominciai a spingere sui pedali per recuperare il tempo perso. Raggiunsi il confine spagnolo nel primo pomeriggio, tirando un sospiro di sollievo per essere tornato a pedalare in zone con più punti d’appoggio, o almeno così fu quello che pensai. Mi ritrovai dopo il tramonto a percorrere una strada dritta e remota, che attraversava un altopiano in provincia di Zamora. Fui nuovamente costretto a improvvisare: con le dita talmente congelate da non riuscire più a cambiare rapporto mi fermai a una stazione di benzina dove comprai dei guanti da lavoro per coprirmi dal freddo dovuto all’escursione termica. Qualche chilometro più avanti, preso dalla stanchezza, sfruttai l’Oficina Banco Santander di Mombuey per trovare riparo dal freddo e riposare qualche ora. Alla ripartenza fu imperativo per me prefissarmi di raggiungere l’ultimo checkpoint entro sera, il Caín de Valdeón, un canyon situato nel Parco Nazionale dei Picos de Europa. Pedalai tutta la mattina senza sostare, anche perchè la zona attraversata non offriva nulla di particolare. Riuscii a raggiungere l’aera del parco nazionale nel primo pomeriggio, da li fino al checkpoint che raggiunsi alle 7 di sera fu una meraviglia dietro l’altra. Seguii il Río Esla fino a raggiungere l’Embalse de Riaño, grosso bacino, il quale si attraversa grazie ad un lungo viadotto. Da li in poi scalai fino a raggiungere la Posada de Valdeón, ovvero il punto panoramico più alto del Caín. La discesa verso il checkpoint fu rapidissima dovuta alle pendenze da capogiro, gradienti che poi avrei dovuto risalire per proseguire verso gli ultimi 200 chilometri di gara. In quel momento fui il secondo concorrente a completare la tappa. Il primo, Ulrich era già arrivato al traguardo dopo una corsa tiratissima mentre il terzo, Sami, lo incrociai proprio mentre risalivo. Era ormai buio e il freddo umido del torrente mi penetrò oltre che le ossa, anche il cervello. Congelavo ma sudavo mentre inveivo e spingevo la bici su quei maledetti 20%. Arrivato al primo paese entrai in ristorante vestito con tutto quello che avevo e mi sedetti, davanti alle facce stranite dei commensali (in maniche corte).
Non c’era niente da fare, avevo un sonno mortale.
Mangiai qualcosa e poi, in bagno, chiusi la porta a chiave e misi la sveglia dopo 15 minuti prima di buttarmi a terra e dormire. La sveglia fu come una scarica di elettroshock. Ripartito, mi resi conto di avere un muro di fatica davanti: era mezzanotte, la temperatura molto bassa e dovevo scalare due passi. Come farsi Sella e Pordoi, con l’unica differenza che li, ero in mezzo ad uno splendido e agghiacciante nulla.
Barcollai per ore ma alla fine verso le 3:30 di notte finalmente, scollinato l’ennesimo valico, iniziai una lunga discesa che aveva tutto il sapore della conquista. La stanchezza si fece sentire talmente tanto che in un paio di occasioni, nonostante la velocità, mi ritrovai radente al guardrail a causa di un colpo di sonno. Mi fermai a tre quarti della discesa, a Potes, trovai uno sportello Liberbank e mi ci infilai dentro con bici e tutto. Mi rannicchiai congelato con la borraccia come cuscino. Erano le 5:00 e ci rimasi fino le 7:40. Ripartii per Bilbao dopo un’abbondante colazione fatta al panificio di paese. Fu una giornata spesa a macinare chilometri a testa bassa. Attraversai le colline cantabriche diretto verso Torrelavega e sprigionai tutte le mie energie sugli strappetti tra la periferia di Santander e Alto de la Cruz. Da casa, chi mi seguiva stava intanto facendo qualsiasi tipo di equazione matematica oltre che i più svariati riti vodoo per capire chi sarebbe arrivato per secondo a Bilbao, visto che Sami dopo il checkpoint stava percorrendo una strada parallela alla mia ma lontana qualche decina di chilometri. A pochissimo dall’arrivo cominciai a riconoscere le strade di Bilbao, questo mi fece aumentare il ritmo. Un semaforo, il traffico delle 7 di sera, i lavori in corso scavalcati con la bici in spalla, l’ennesimo cavalcavia, l’autobus che procedeva a scatti verso i viali del centro e finalmente gli ultimi metri, prima di godere dell’applauso fatto da una manciata di persone, come è giusto che sia. Diedi la mano a Sami, arrivato solo 3 minuti prima di me… Ci sedemmo a terra stappando una birra mentre le ultime luci che filtravano tra i palazzi disegnavano ombre lunghe su tutta la piazza del Guggenheim Museum. Ero fermo, ma la mia mente viaggiava ancora.
Ancora adesso, a 6 mesi di distanza, questo viaggio intriso di tutto quello che da un’avventura si può desiderare, riesce ancora con vividezza a farmi percorrere le alture pirenaiche, le aride terre aragonesi, le strade andaluse e le maioliche portoghesi dell’Algarve, ricordando quello che c’è stato e sognando quello che sarà, sempre in sella alla mia bicicletta.